Testimonianza
di Henry Falcon, della compagnia L - terzo battaglione del 350th rgt -88th Div.
USA sulla battaglia per la conquista di m.Acuto .
La mattina di
lunedi 25 Settembre 1944 il III° battaglione del 350° Reggimento di fanteria
degli Stati Uniti manovrava per
predisporre l’attacco alle linee tedesche che difendevano Monte Acuto, a
-Ovest di Valmaggiore nel settore di Castel del Rio.
L’offensiva
americana, che in un primo momento aveva sperato di poter sfondare di slancio
la famosa Linea Gotica creata a difesa del fronte dalle forze germaniche, si
era lentamente arenata con un susseguirsi di cruente battaglie sulla dorsale
del crinale compreso tra Monte La Faggiola e Monte Battaglia, dove ogni altura
era tenacemente difesa e contesa in scontri all’ultimo sangue.
In conseguenza
del rallentamento dell’avanzata alleata, i tedeschi si erano via via
organizzati nello sbarramento difensivo, decisi a non cedere terreno
immolandosi fanaticamente sul campo di battaglia.
Preparandosi per
l’attacco, il comandante del III° battaglione maggiore Vincent M. Witter
aveva chiesto al comandante della Compagnia L, capitano Edward Maher, di
schierare gli uomini in posizione avanzata.
E’ ancora vivo
nella memoria di Henry Falcon il ricordo di quella terribile giornata : in
visita ai luoghi dove aveva combattuto più di sessanta anni prima, il sergente
americano non cede all’emozione ed inizia a raccontarci con voce ferma quanto
accadde.
“ Mi chiamo
Henry Falcon, vengo dalla California, contea di Los Angeles ed ho 85 anni. Sono
sergente maggiore a riposo, matricola 39538350 dell’88° divisione di
fanteria dell’esercito degli Stati Uniti d’America e sono già stato da
queste parti nel Settembre 1944,
quando fui ferito gravemente al ginocchio destro durante la guerra contro i
tedeschi. Prima di morire
desideravo rivedere i luoghi dove avevo combattuto e dove purtroppo erano morti
tanti miei amici, così eccomi qua.
Era mattino
molto presto quando ci preparammo per l’azione di attacco. Pioveva a dirotto,
dense nubi andavano e venivano rendendo la visibilità da assente a scarsa ed
il fango non ci lasciava tregua imbrattando tutto il materiale ed i soldati.
Il nostro morale
non era al massimo poichè stavamo in linea già da giorni e la nostra avanzata
era troppo lenta, facevamo pochi progressi e da ormai 24 ore eravamo fermi in
prossimità di monte Acuto senza che si riuscisse a sfondare la linea di difesa
tedesca.
Inoltre ci
mancava molto il rancio caldo, che non sempre veniva distribuito alle prime
linee, e dovevamo arrangiarci con le razioni d’emergenza. Il più delle
volte, aperta una razione, ne assaggiavamo un po’ poi la buttavamo, la truppa
preferiva tenere solo sigarette e birra, una birra mediocre contenuta in
lattine verdi, più scarsa di quella in bottiglia che bevevano nelle retrovie.
Il mio capitano
comandante di compagnia aveva ricevuto l’ordine perentorio di prendere Monte
Acuto, una cosa semplice a dirsi ma avevamo tutti l’impressione che non
sarebbe stata tanto facile da realizzare.
Dopo il consueto
sbarramento d’artiglieria che precedeva sempre i nostri attacchi, il capitano
Maher iniziò guardingo l’avanzata verso la cima di Monte Acuto, tra la
pioggia incessante e nuvole di nebbia.
Improvvisamente,
da una postazione fortificata nemica a poche centinaia di passi, si intravide
tra la foschia qualcuno che agitava una bandiera bianca, o almeno uno straccio
bianco in segno di resa, almeno a quelli di noi in posizione più avanzata così
parve : sembrava proprio che i tedeschi si arrendessero!
Fu allora che il
capitano smise di strisciare, si mise in piedi e avanzò lentamente per qualche
metro allo scoperto :
immediatamente
una raffica di mitragliatrice lo buttò giù.
Io allora,
mentre altri sparavano, uscii dal mio riparo e cercai di correre, scivolando
nel fango, verso di lui che giaceva a terra immobile. I krukki però ci
dovevano avere inquadrato molto bene perché un’altra sventagliata nella mia
direzione mi colpì al ginocchio destro, facendomi perdere la mia carabina m1 e
crollare proprio mentre stavo per raggiungere il mio capitano. Ero sdraiato a
pochi metri da lui ma non capivo se era vivo, io all’inizio non avevo tanto
dolore alla gamba ferita ma stavo fermo perché eravamo sotto tiro nemico.
Nella pioggia e
nella nebbia arrivò l’infermiere Robert Langmajor e si sdraiò vicino a me,
ma io gli dissi prendi il capitano per primo,prendi il capitano! Intanto
tutt’intorno si sparava ed io non vedevo niente, non capivo come si svolgesse
la battaglia; l’infermiere da solo non riusciva a spostare il capitano Maher
che era veramente un pezzo d’uomo pesante più di cento chili, per cui gli
stese sopra un impermeabile per proteggerlo dalla pioggia ricoprendolo
interamente, poi se ne tornò
indietro di corsa a cercare aiuto.
Sentivo
sempre sparare ma il dolore al ginocchio era cresciuto impedendomi di muovermi
e di capire cosa stesse accadendo.
Dopo
un po’, anche se non so dire quanto tempo passasse esattamente, sentii voci
americane ed arrivarono quattro barellieri che volevano portare aiuto ai
feriti, ma i tedeschi stavano sferrando un contrattacco e un infermiere fu
ucciso, gli altri che erano Darby, Langmajor e Moses Solano catturati mentre io
ed il capitano, coperto dal telo, venimmo dati per morti dai nemici.
Passò
altro tempo ed io in effetti credevo proprio che sarei morto come del resto
pensavo fosse già successo al capitano Maher, quando improvvisamente
arrivarono altri infermieri, presero il capitano e poi me.
Penso
fosse già verso il pomeriggio ma una cosa che ricordo bene è che caddi tre
volte fuori dalla barella a causa delle scivolate dei portantini per cui mi
lamentai più volte con loro, hey ragazzi fate attenzione alla mia gamba,
dannazione, ma nessuno mi rispose mai, sembravano tutti improvvisamente muti.
In
barella mi portarono nella stalla di una casa contadina (molto probabilmente cà
di Monduccio, n.d.t.) dove era stato allestito il posto di primo soccorso, fui
medicato e passai lì parte della
notte poi fui ulteriormente evacuato in un’altra casa dove smistavano i
feriti in base alla gravità. Infine arrivarono le jeeps e le ambulanze a
caricarci ma io per effetto delle iniezioni di morfina mi svegliai una volta a
Firenze, poi dopo un lungo sonno mi ritrovai ricoverato a Napoli.
Fui
rimpatriato e ci ho messo quasi due anni a guarire completamente dalla ferita
alla gamba, o meglio al ginocchio
destro, ho passato tre ospedali in tre diversi stati degli USA per farmi
ricostruire l’articolazione ma mi considero molto fortunato perché sono
sopravissuto, mentre quasi tutti i miei amici sono stati uccisi o feriti nei
giorni successivi durante i tremendi scontri di Monte Battaglia.
Imparai
molto tempo dopo che quella sfortunata mattina metà della mia compagnia,
sbandata per la perdita del capitano, era stata uccisa o fatta prigioniera e
che anche il battaglione, addirittura, aveva rischiato di sfaldarsi sotto
l’incalzare delle truppe tedesche in contrattacco, rischiando di soccombere.
Del
capitano Maher non seppi più nulla e lo credevo sicuramente morto, finchè non
ci incontrammo ad un raduno di reduci dell’88° divisione Blue Devils : fu
mia moglie ad accorgersene, riconoscendolo da alcune fotografie in mio possesso
che ci ritraevano insieme durante la Campagna d’Italia.
Quella
dannata mattina Maher si era preso tre pallottole di mitragliatrice, una alla
gola, una alla spalla ed una allo stomaco, ma evidentemente non doveva essere
ancora giunta la sua ora e dopo avere atteso svenuto sotto la pioggia alle
falde di Monte Acuto, era stato evacuato ed era riuscito a salvarsi.
Come
i nostri sguardi si incrociarono venne verso di me e, senza dire niente, questo
gigante biondo mi sollevò in alto prendendomi sotto le ascelle come fossi un
bambino, nonostante avesse una piccola paresi al collo dovuta ai postumi della
ferita di guerra che gli faceva tenere la testa leggermente piegata di lato.
Da
allora abbiamo continuato per anni a telefonarci la mattina di ogni 25
Settembre per ricordare i terribili fatti di Monte Acuto, l’inganno dei
mitraglieri tedeschi che avevano finto la resa e benedicendo il Signore che
aveva permesso ci salvassimo.
Questo
è come fu veramente.”
Henry
Falcon, staff seargent company L, 350th Reg. 88th
Infantry Division
Testimonianza
dal vivo raccolta sabato 17 novembre 2007 in Castel del Rio, alla presenza
della figlia Norma Corina di Los Angeles, California, di Valerio Calderoni,
Fontanelice e di Renzo Grandi, Borgo Tossignano, Italia
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