Dalla linea Gotica alla linea Laura

Renzo Grandi , Daniele Corazza , Valerio Calderoni

e gli amici ricercatori raccontano...

  Valerio Calderoni siete su    www.renzograndi.it        siete su    www.renzograndi.it        siete su    www.renzograndi.it        siete su    www.renzograndi.it       Henry falcon
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Monte Acuto

 

buca americana

 

elmo U.S.

 

elmo Tedesco

 

Campolarino

Testimonianza di Henry Falcon, della compagnia L - terzo battaglione del 350th rgt -88th Div. USA sulla battaglia per la conquista di m.Acuto .

La mattina di lunedi 25 Settembre 1944 il III° battaglione del 350° Reggimento di fanteria degli Stati Uniti  manovrava per predisporre l’attacco alle linee tedesche che difendevano Monte Acuto, a -Ovest di Valmaggiore nel settore di Castel del Rio.  

L’offensiva americana, che in un primo momento aveva sperato di poter sfondare di slancio la famosa Linea Gotica creata a difesa del fronte dalle forze germaniche, si era lentamente arenata con un susseguirsi di cruente battaglie sulla dorsale del crinale compreso tra Monte La Faggiola e Monte Battaglia, dove ogni altura era tenacemente difesa e contesa in scontri all’ultimo sangue.  

In conseguenza del rallentamento dell’avanzata alleata, i tedeschi si erano via via organizzati nello sbarramento difensivo, decisi a non cedere terreno immolandosi fanaticamente sul campo di battaglia.  

Preparandosi per l’attacco, il comandante del III° battaglione maggiore Vincent M. Witter aveva chiesto al comandante della Compagnia L, capitano Edward Maher, di schierare gli uomini in posizione avanzata.  

E’ ancora vivo nella memoria di Henry Falcon il ricordo di quella terribile giornata : in visita ai luoghi dove aveva combattuto più di sessanta anni prima, il sergente americano non cede all’emozione ed inizia a raccontarci con voce ferma quanto accadde.  

“ Mi chiamo Henry Falcon, vengo dalla California, contea di Los Angeles ed ho 85 anni. Sono sergente maggiore a riposo, matricola 39538350 dell’88° divisione di fanteria dell’esercito degli Stati Uniti d’America e sono già stato da queste  parti nel Settembre 1944, quando fui ferito gravemente al ginocchio destro durante la guerra contro i tedeschi.  Prima di morire desideravo rivedere i luoghi dove avevo combattuto e dove purtroppo erano morti tanti miei amici, così eccomi qua.  

Era mattino molto presto quando ci preparammo per l’azione di attacco. Pioveva a dirotto, dense nubi andavano e venivano rendendo la visibilità da assente a scarsa ed il fango non ci lasciava tregua imbrattando tutto il materiale ed i soldati.  

Il nostro morale non era al massimo poichè stavamo in linea già da giorni e la nostra avanzata era troppo lenta, facevamo pochi progressi e da ormai 24 ore eravamo fermi in prossimità di monte Acuto senza che si riuscisse a sfondare la linea di difesa tedesca.  

Inoltre ci mancava molto il rancio caldo, che non sempre veniva distribuito alle prime linee, e dovevamo arrangiarci con le razioni d’emergenza. Il più delle volte, aperta una razione, ne assaggiavamo un po’ poi la buttavamo, la truppa preferiva tenere solo sigarette e birra, una birra mediocre contenuta in lattine verdi, più scarsa di quella in bottiglia che bevevano nelle retrovie.  

Il mio capitano comandante di compagnia aveva ricevuto l’ordine perentorio di prendere Monte Acuto, una cosa semplice a dirsi ma avevamo tutti l’impressione che non sarebbe stata tanto facile da realizzare.  

Dopo il consueto sbarramento d’artiglieria che precedeva sempre i nostri attacchi, il capitano Maher iniziò guardingo l’avanzata verso la cima di Monte Acuto, tra la pioggia incessante e nuvole di nebbia.  

Improvvisamente, da una postazione fortificata nemica a poche centinaia di passi, si intravide tra la foschia qualcuno che agitava una bandiera bianca, o almeno uno straccio bianco in segno di resa, almeno a quelli di noi in posizione più avanzata  così parve : sembrava proprio che i tedeschi si arrendessero!  

Fu allora che il capitano smise di strisciare, si mise in piedi e avanzò lentamente per qualche metro allo scoperto :  

immediatamente una raffica di mitragliatrice lo buttò giù.  

Io allora, mentre altri sparavano, uscii dal mio riparo e cercai di correre, scivolando nel fango, verso di lui che giaceva a terra immobile. I krukki però ci dovevano avere inquadrato molto bene perché un’altra sventagliata nella mia direzione mi colpì al ginocchio destro, facendomi perdere la mia carabina m1 e crollare proprio mentre stavo per raggiungere il mio capitano. Ero sdraiato a pochi metri da lui ma non capivo se era vivo, io all’inizio non avevo tanto dolore alla gamba ferita ma stavo fermo perché eravamo sotto tiro nemico.  

Nella pioggia e nella nebbia arrivò l’infermiere Robert Langmajor e si sdraiò vicino a me, ma io gli dissi prendi il capitano per primo,prendi il capitano! Intanto tutt’intorno si sparava ed io non vedevo niente, non capivo come si svolgesse la battaglia; l’infermiere da solo non riusciva a spostare il capitano Maher che era veramente un pezzo d’uomo pesante più di cento chili, per cui gli stese sopra un impermeabile per proteggerlo dalla pioggia ricoprendolo interamente,  poi se ne tornò indietro di corsa a cercare aiuto.  

Sentivo sempre sparare ma il dolore al ginocchio era cresciuto impedendomi di muovermi e di capire cosa stesse accadendo.  

Dopo un po’, anche se non so dire quanto tempo passasse esattamente, sentii voci americane ed arrivarono quattro barellieri che volevano portare aiuto ai feriti, ma i tedeschi stavano sferrando un contrattacco e un infermiere fu ucciso, gli altri che erano Darby, Langmajor e Moses Solano catturati mentre io ed il capitano, coperto dal telo, venimmo dati per morti dai nemici.  

Passò altro tempo ed io in effetti credevo proprio che sarei morto come del resto pensavo fosse già successo al capitano Maher, quando improvvisamente arrivarono altri infermieri, presero il capitano e poi me.  

Penso fosse già verso il pomeriggio ma una cosa che ricordo bene è che caddi tre volte fuori dalla barella a causa delle scivolate dei portantini per cui mi lamentai più volte con loro, hey ragazzi fate attenzione alla mia gamba, dannazione, ma nessuno mi rispose mai, sembravano tutti improvvisamente muti.  

In barella mi portarono nella stalla di una casa contadina (molto probabilmente cà di Monduccio, n.d.t.) dove era stato allestito il posto di primo soccorso, fui medicato e  passai lì parte della notte poi fui ulteriormente evacuato in un’altra casa dove smistavano i feriti in base alla gravità. Infine arrivarono le jeeps e le ambulanze a caricarci ma io per effetto delle iniezioni di morfina mi svegliai una volta a Firenze, poi dopo un lungo sonno mi ritrovai ricoverato a Napoli.  

Fui rimpatriato e ci ho messo quasi due anni a guarire completamente dalla ferita alla gamba, o meglio al  ginocchio destro, ho passato tre ospedali in tre diversi stati degli USA per farmi ricostruire l’articolazione ma mi considero molto fortunato perché sono sopravissuto, mentre quasi tutti i miei amici sono stati uccisi o feriti nei giorni successivi durante i tremendi scontri di Monte Battaglia.  

Imparai molto tempo dopo che quella sfortunata mattina metà della mia compagnia, sbandata per la perdita del capitano, era stata uccisa o fatta prigioniera e che anche il battaglione, addirittura, aveva rischiato di sfaldarsi sotto l’incalzare delle truppe tedesche in contrattacco, rischiando di soccombere.  

Del capitano Maher non seppi più nulla e lo credevo sicuramente morto, finchè non ci incontrammo ad un raduno di reduci dell’88° divisione Blue Devils : fu mia moglie ad accorgersene, riconoscendolo da alcune fotografie in mio possesso che ci ritraevano insieme durante la Campagna d’Italia.  

 Quella dannata mattina Maher si era preso tre pallottole di mitragliatrice, una alla gola, una alla spalla ed una allo stomaco, ma evidentemente non doveva essere ancora giunta la sua ora e dopo avere atteso svenuto sotto la pioggia alle falde di Monte Acuto, era stato evacuato ed era riuscito a salvarsi.  

Come i nostri sguardi si incrociarono venne verso di me e, senza dire niente, questo gigante biondo mi sollevò in alto prendendomi sotto le ascelle come fossi un bambino, nonostante avesse una piccola paresi al collo dovuta ai postumi della ferita di guerra che gli faceva tenere la testa leggermente piegata di lato.  

Da allora abbiamo continuato per anni a telefonarci la mattina di ogni 25 Settembre per ricordare i terribili fatti di Monte Acuto, l’inganno dei mitraglieri tedeschi che avevano finto la resa e benedicendo il Signore che aveva permesso ci salvassimo.

Questo è come fu veramente.”

 Henry Falcon, staff seargent company L, 350th Reg. 88th  Infantry Division

 Testimonianza dal vivo raccolta sabato 17 novembre 2007 in Castel del Rio, alla presenza della figlia Norma Corina di Los Angeles, California, di Valerio Calderoni, Fontanelice e di Renzo Grandi, Borgo Tossignano, Italia

 

 

scheda militare di Henry

 

Henry brothers

 

gruppo al C.A.R.

 

veterani del combattimento

 

l' infermiere con Henry